Quando suona la sveglia in camera
dei miei genitori, io e mia sorella siamo già svegli da un po’. Oggi partiamo
per le vacanze e come ogni anno l’emozione mi prende allo stomaco, come nei
momenti più importanti. Ieri ho passato tutto il pomeriggio a preparare lo
zainetto con le cose da portare, e per quasi tutta la notte mi sono ripetuto a
mente la lista, per essere sicuro di non dimenticare niente a casa. Le ho
infilate nello zaino in ordine di importanza. Prima la mia collezione di
biglioni di plastica, con le figurine dei piloti di formula uno e dei ciclisti;
la mia preferita è quella rossa con la foto di Elio De Angelis, il pilota che
guida la macchina nera con le scritte oro. Il sacchetto ancora sigillato dei gavettoni,
è la seconda cosa che di diritto va messa dentro. L’anno scorso mia sorella mi
ha massacrato, ma quest’anno la rappresaglia sarà spietata; giuro che la
inzupperò dalla testa ai piedi! Poi gli occhialetti per andare sott’acqua, il
gioco delle cimici e il fumetto dell’Uomo Ragno. Non so leggere ancora bene, ma
a me mi piace guardare le figure e immaginarmi di essere io il supereroe. La
mamma mi ha obbligato a portare anche il libro dei compiti delle vacanze, ma
dubito che avrò il tempo per farli. Faccio un ultimo controllo per assicurarmi
che non manchi niente. Ok, ci siamo è tutto a posto. Ora posso fare colazione.
Oggi è il due di
agosto, anche l’anno scorso siamo partiti lo stesso giorno, perché papà mio ha
sempre le ferie dal due al ventidue. Poi lui torna a Milano, ma noi restiamo a
mare fino a fine mese, ogni volta. Ieri papà ci ha detto che quest’anno
partiremo con il pullman da piazza Castello, visto che andiamo a Lido di Spina,
invece che a Misano e quindi con il pullman è più comodo che col treno. Io il
pullman non l’ho preso mai e sono un sacco eccitato.
Sul treno, di
solito, c’è un mucchio di gente e papà è sempre molto serio e nervoso, finché
non trova i posti vicini per tutti. Poi si rilassa. Di solito dorme.
Noi, invece, per
tutto il viaggio giochiamo, conosciamo gli altri bambini che viaggiano,
guardiamo fuori dal finestrino e mangiamo le merendine, bevendo il succo di
frutta. Sul treno ci sono sempre dei gruppi di ragazzi che fanno tanto rumore e
dicono le parolacce. Loro vanno a Riccione, che è vicino a Misano Adriatico.
L’anno scorso la mamma si è pure arrabbiata con uno di questi, perché aveva
bestemmiato e lei gli ha detto che ci siamo noi bambini e non si dice!
Chissà com’è,
invece viaggiare con il pullman, sarà divertente come il treno?
Sono le sei e
mezza di mattina quando arriva il taxi. Noi siamo sotto casa già da un po’,
papà è molto puntuale. Nel tragitto fino al posto dei pullman ho gli occhi che
mi si chiudono dal sonno, ma resisto perché non voglio perdermi neanche un
momento del viaggio. Quando stiamo per arrivare, papà ci dice: «guardate il
castello Sforzesco!». Io gli rispondo, sporgendomi in avanti, che ci sono
andato in gita con la scuola e quella sotto l’orologio, è la statua di
sant’Ambrogio, il protettore di Milano.
Il pullman è blu
per la parte di sotto e bianco sopra. Ha dei finestrini giganti, ma io me lo
immaginavo più grande. Salendo, lo stretto corridoio tra le due file di sedili
mi conferma che qui è troppo piccolo per giocare. Non si può correre come sul
treno, cambiando di vagone. E poi non c’è nemmeno un bambino, sono tutti vecchi
o comunque grandi. La mamma mi indica di infilarmi al prossimo sedile e lei mi
si siede di fianco. Davanti a noi ci sono mia sorella, proprio davanti a me,
vicino al finestrino e papà le è seduto accanto. I miei genitori non vogliono
che ci sediamo vicini io e mia sorella, perché ogni volta finiamo a litigare.
Sedute dietro di noi ci sono due vecchie che, appena mi giro per vedere chi
c’è, iniziano a dire «Ciao bel bambino, come ti chiami?». Ma io non rispondo e
mi rigiro sbuffando. A me le vecchie mi stanno antipatiche! Ti vogliono sempre
toccare e poi mi tirano i pizzichi sulle guance.
Dopo un po’ che
siamo seduti, il pilota accende il pullman e partiamo. Io guardo attento
fuori, per vedere se riconosco le strade e magari se vedo qualcuno dei miei
amici. Poi passiamo in viale Corsica, proprio vicino a casa mia e allora chiedo
a papà se non potevano passarci a prendere, visto che abitiamo lì, invece di
farci andare fino al castello. Ma papà già si è addormentato e non mi risponde.
Usciamo dalla
città e prendiamo l’autostrada. La strada è tutta uguale e non c’è niente di
bello da vedere e io comincio ad annoiarmi. Allora mi metto a pensare alla mia
prestazione calcistica di ieri. C’eravamo solo io e l’Andrea, gli altri
sono già tutti partiti. Ci siamo incontrati lo stesso, all’oratorio, per fare
un po’ di tiri in porta. Io sono più bravo di Andrea a giocare a pallone, ieri
gli ho fatto un sacco di gol. Sono più bravo anche se la sfida ai rigori l’ha
vinta lui, perché io ho preso due pali e a lui gliene ho parato solo uno. Ha
vinto di uno e mi ha preso in giro fino a quando non siamo ritornati a casa. Io
però gli ho fatto un tiro da fuori area, all’incrocio dei pali, che lui neanche
si è mosso. «Fallo tu un gol così!», gli ho gridato quando mi sfotteva. Peccato
che non riesco mai a fare dei gol così belli quando papà viene a vedermi.
Mentre
l’autostrada continua sempre dritta e uguale, io mi alzo per guardare intorno.
Dormono tutti, anche mia sorella. Scuoto leggermente il braccio di mia mamma
con la mano, per svegliarla. Me lo ha detto lei, «svegliami se mi addormento»,
perché mamma russa forte e si vergogna che la gente la senta. Si sveglia
sobbalzando e mi sorride disorientata, mi passa un succo di frutta
all’albicocca e si mette a sfogliare il fotoromanzo che ha poggiato sulle
ginocchia. Io mi rituffo sul finestrino, a guardare fuori. C’è un bel po’ di
traffico e spesso il pullman si ferma in fila, tra le imprecazioni del pilota
che vedo agitarsi, tutto sudato, lì davanti. Il sole è alto, nel pullman fa
molto caldo e io mi metto a sbirciare le macchine incolonnate vicino a noi. C’è
una Ritmo a cinque porte, boudaux, che è uguale a quella del padre di un mio
amico si scuola. Allora mi metto in piedi sul sedile, per vedere se magari è
proprio lui che va in vacanza. L’altro giorno mi aveva detto che anche loro
partivano il due, però mica è venuto all’oratorio a giocare ieri! Neanche il
tempo di tirarmi su, che un braccio di una signora cicciona, cicciona, esce dal
finestrino del posto davanti e quindi non sono loro. Nella sua famiglia sono
tutti alti, alti e magri, magri. Dopo un po’ ci fermiamo all’area di servizio
per fare una pausa. Scendiamo tutti. Io e mia sorella, con la mamma, andiamo in
bagno a fare la pipì, mentre papà va dentro l’Autogrill a prendere due caffè.
Io protesto, perché voglio andare con papà, ma la mamma mi dice di no
«Altrimenti poi ti metti a fare i capricci. Voglio questo, voglio quello…
Quindi fila in bagno!». Ripartiamo che io c’ho ancora il muso lungo, ma poco
dopo abbandono le ostilità; tanto siamo già ripartiti. Passo lungo tempo a
osservare minuziosamente i particolari del sedile, per capire com’è fatto e
come lo hanno costruito. Ritmicamente faccio scattare lo sportellino del
posacenere posizionato sul sedile davanti a me, quello di mia sorella. A ogni
scatto del portellino, ripeto una filastrocca che mi sono inventato: «E tu
avrai tutte cose… - tac! - E tu avrai tutte cose… - tac! - E tu
avrai tutte cose… - tac! - E tu avrai… ».
«E smettila!!»,
mi sgrida mio papà voltandosi appena. Io sbuffo e mi rimetto a contare le
macchine rosse che passano nell’altra direzione, come prima. Loro passano
veloci, perché di la non c’è il traffico. Noi invece siamo di nuovo in fila.
Non riesco nemmeno a capire dove siamo, almeno col treno ci sono le fermate con
il nome dei posti. E poi so che quando arriviamo in quella grande stazione e
passiamo sotto al quel vecchio ponte che sembra un palazzo con l’orologio, vuol
dire che manca poco. Ma con il pullman è tutto diverso. Ci sono dei cartelli
scritti, ma passiamo troppo veloci e io leggo ancora troppo piano e non ce la
faccio. Solo uno l’ho letto bene, perché ci siamo stati fermi di fianco per
tanto tempo. Parma sud, diceva.
Passo il resto
del viaggio a giocare a ruba mazzetto con mia sorella, che mi batte
sempre e io mi arrabbio. Per me bara, è solo per questo che vince, sennò
vincevo io.
Finalmente siamo
arrivati, probabilmente, a quella città con l’orologio sui binari. Papà me lo conferma
quando glielo chiedo, «sì, sì» mi dice, «dai che manca poco!». Solo che c’è un
traffico infernale sulla strada dove siamo. Da qui posso vedere i tetti delle
case che sono tutti rossi. Li guardo con curiosità perché sono diversi da
quelli dei palazzi di Milano, che vedo quando stiamo arrivando alla stazione
Centrale. Allora, visto che manca poco, mi sale di nuovo una grande
eccitazione. Penso che tra poco sarò in spiaggia a fare il bagno, con il mio
nuovo salvagente. Me lo ha regalato la zia, è mezzo rosso e mezzo blu. È ancora
chiuso nella plastica della confezione. Mamma non me lo ha fatto aprire perché
dice che così piegato, occupa meno spazio nella valigia. Mentre penso al primo
tuffo delle vacanze, che voglio sia bellissimo, mi agito impaziente al mio
posto.
Il pullman è
ancora bloccato nel traffico, che procede lento, lento. Tutti sono accalcati
dalla parte dei finestrini opposta alla mia e un vociare che non capisco, si
alza tra i passeggeri. Cerco un buco tra la gente per vedere anch’io quello che
tutti stanno guardando, ma non ci riesco e dopo poco torno a sedermi nella fila
di posti rimasta deserta. Da fuori riesco a sentire, oltre allo strombazzare
dei clacson in concerto, il rumore di un elicottero che passa sopra di noi.
Allora mi spiaccico con la faccia contro il vetro del mio finestrino e riesco a
vederne due, che passano veloci e vanno dalla parte dove tutti stanno
guardando. Nella strada che ci passa sotto c’è un grande via vai di ambulanze e
macchine della polizia. Le luci blu, rosse e arancioni, sembrano quelle che ci
sono nel circo che viene a Milano a Natale, che io ci sono andato una volta con
papà, ma non mi è piaciuto perché il domatore frustava i leoni, ma quelli non
si arrabbiavano e mica se lo mangiavano. Ci sarà stato un altro incidente di
macchine, dico a me stesso visto che sono ancora da solo dalla mia parte del
pullman. Mia sorella, che è riuscita a trovare un posto per guardare, torna a
sedersi davanti a me. «Beh, cos’è successo?», le chiedo sporgendomi verso di
lei. Lei si gira appena e mi risponde acida: «E che ne so?! C’è del fumo in
cielo, forse è una macchina che è andata a fuoco», mi fa una smorfia e si
rimette a leggere il suo Cioè. Io mi arrabbio, perché voglio andare al
mare, metto il broncio e mi siedo a guardare fuori dalla parte opposta di
quelli ammassati agli altri finestrini. Il cielo è azzurro come la maglia del
Napoli e dritta davanti a me, c’è una strada con dei palazzi che sembrano come
quello dove abitano le mie cugine. Sopra a uno di questi c’è un grosso cartello
pubblicitario con una scritta grigia e blu e attaccato sotto c’è un enorme
orologio al quarzo con i numeri rossi, proprio come quello vicino alla scuola
media della mia zona. Visto che non ho niente da fare mi metto a leggerlo, a
bassa voce, piano, piano. «Caaaassssssa… cassa! Di riiiisss… risppp… rispaaaaa…
risparmio! Dddi… boooo…
boooolooo… Bologna!». «Cassa di risparmio di Bologna», ripeto bene e a
voce alta per farmi sentire da mia sorella, che dice sempre che non so leggere.
Soddisfatto e forte della conquista, comincio a leggere anche i numeri rossi
sotto. «Allora, sono le dieeeeeci… dieci! E quaaaaaraaaaanta… ». «Sono le dieci
e quaranta!», dico soddisfatto a mia sorella che gentilmente mi risponde: «E al
Popolo?». Le faccio una linguaccia e riprendo a leggere i numeri. Ormai è una
missione che devo portare a termine, devo leggerlo tutto! «Duuue… due!
Aaaagooooosssto… Due agosto! Miiiiilllllenooooovvveeeeeceeeeennnnto…
millenovecento! Oooottaanta… ottanta! Millenovecentottanta!».
Mi alzo eroico, come se avessi vinto la Coppa dei Campioni, chiamo mia
sorella e le dico «Eiiiihhh, guarda!». Lei si gira scocciata, già pronta a
rispondermi male. «Lì c’è scritto: Cassa di risparmio di Bologna. Sono le dieci
e quaranta e oggi è il due agosto millenovecentottanta!!». La guardo
soddisfatto, dritto negli occhi, con un sorriso da vincitore stampato sul muso.
Lei, con sguardo annoiato mi fa una boccaccia, si gira in avanti e mi dice: «E
al popolo?».
Cristian Giodice